“Io ci tengo ed è il motivo per cui partecipo sempre a tutte le assemblee, ai pranzi sociali e in ultimo anche agli eventi del50ennale al Teatro Comunale. Mi piace esserci, mi sento che è una cosa che devo fare, come socio e come lavoratore.“
Paolo Gianasi, socio, rappresentante e operaio in Copma dal 1990.
In un comparto caratterizzato dalla predominanza della presenza femminile, oggi conosciamo Paolo Gianasi, uno degli uomini con più anzianità da socio tutt’ora in forza. E’ stato assunto il primo ottobre 1990 all’Ospedale di Bondeno e, come spesso ci è capitato di sentire anche in altre interviste, anche nel suo caso si trattava di fare una sostituzione di pochi mesi che si è poi trasformata in una lunga carriera di 31 anni.
La prima cosa che dice è: “Io sono un vero multiservizi”, facendo riferimento al nostro Contratto Collettivo Nazionale, dei Multiservizi, per l’appunto. Non è un riferimento casuale poiché Paolo è da moltissimi anni anche rappresentante sindacale, e dunque ha un approccio e un focus molto peculiare che riflette la sua esperienza nella sua triplice veste sia di operaio che di socio che di rappresentante.
Descrivimi un po’ la tua attività da uomo-multiservizi.
“Erano i primi anni 90, molte attività venivano affidate a ditte esterne. Mi sono occupato ad esempio della biancheria, del ritiro e della consegna, delle pulizie delle aree esterne, dello scarico e smistamento nei vari reparti dei medicinali e dei farmaci, della raccolta e smistamento dei rifiuti, compresi quelli speciali. Ma ti dirò che ho fatto anche molte altre cose come il guardarobiere, quando andava in ferie la persona preposta, è capitato anche che prendessi le misure ai medici per le divise e i camici, ma la cosa più particolare , diciamo così, è stato il servizio di trasporto salme che ho svolto per quasi una decina d’anni, fino quasi al 2000”
Una mansione piuttosto delicata, direi.
“Delicata e anche diciamo strana, perché un cadavere spaventa sempre un po’. Certo poi ci fai il callo, per così dire. La cosa brutta però è che magari potevano essere persone che conoscevi, essendo Bondeno un paese non enorme. Ad ogni modo funzionava che al mattino quando arrivavo, mi avvisavano se c’era stato qualche decesso e allora andavo nei reparti con la barella apposta, quella coperta, e portavo via le salme fino al reparto apposito”
E invece il tuo impegno come rappresentante sindacale come è nato?
“A questo sono stato spinto dalla mia caposquadra di allora, perché secondo lei avevo le caratteristiche giuste per poterlo fare. Eravamo qui circa 30/35 persone e ci voleva qualcuno che potesse mediare fra noi e l’azienda. Sono rappresentante da quasi 30 anni, vorrei anche passare il testimone ma non ci sono molte persone disposte a assumersi questo ruolo, che non è per nulla facile: bisogna essere in grado di cercare un punto di mediazione fra interessi a volte contrapposti. E’ anche un settore collettivamente poco valorizzato, basta vedere la paga base, che è più bassa rispetto a altri contratti. E’ il motivo per cui a un certo punto ho pensato di andare a lavorare in un altro posto, e avevo anche trovato”
E cosa è successo che ti ha fatto restare?
“Proprio il giorno che pensavo di accettare la proposta che mi avevano fatto ho incontrato per puro caso quello che era il direttore del personale di Copma. E’ stata una coincidenza che mi ha molto colpito, ho parlato con lui e alla fine ci ho ripensato, perché alla fine la prospettiva della catena di montaggio, che sarebbe stato il lavoro che mi avevano proposto, non mi piaceva”.
Diciamo che quell’incontro fortuito ti ha fatto capire che non ti sentivi tagliato per quel genere di lavoro.
“Si esatto, non mi piacciono le cose meccaniche e isolate. Ho capito che mi sento bene quando sono inserito in una comunità. Gli anni che ho fatto a Bondeno sono stati molto belli anche per questo. Prima di tutto perché comunque la cooperativa mi ha dato e mi dà tutt’ora stabilità e tranquillità lavorativa. E poi era la dimensione giusta per poter sviluppare dei rapporti personali, di amicizia e solidarietà. Ho anche fatto parte della squadra di calcio a sette, nel torneo interno che facevano fra ospedali, in cui si giocava tutti insieme coi medici, gli infermieri, i tecnici, gli autisti dell’ambulanza. Era proprio una piccola comunità, una specie di grande famiglia”.
Purtroppo poi l’Ospedale di Bondeno, non si è più ripreso dopo il terremoto del 2012. Dove sei stato assegnato poi?
“Mi hanno mandato all’Ospedale di Cona, dove mi occupo di rifiuti speciali. Lì ad esempio, essendo più grande, c’è meno quel senso di comunità che ho vissuto prima. Anche la pandemia non ha certo aiutato, anzi dal mio punto di vista ha disgregato e allontanato ancora di più.
La comunità e il senso di appartenenza sono valori molto importante per te.
“Sì, per me sì. Ho partecipato anche alle grandi manifestazioni sindacali a Roma negli anni ’90, sotto la guida di Cofferati. Sono stati anni in cui si sono fatti scioperi importanti, in cui coniugavo il senso di appartenenze sindacale, e allo stesso tempo i valori della cooperazione. Per me è sempre stata più importante la collettività, l’unione dei singoli, il darsi da fare in un contesto aggregativo, in cui la meritocrazia avesse una parte importante, mentre ora riconosco un cambiamento che è più concentrato sulla componente individuale. Negli anni novanta appunto ancora era possibile vivere a pieno la comunità, perché i servizi erano decentrati, c’erano più ospedali e presidi sul territorio. Poi via via le cose sono cambiate e si è passati a pochi poli, più grossi. Questo ha comportato un diverso approccio alle cose e alle relazioni, è inevitabile. Nei numeri più grandi, è più facile perdere questo senso di comunità. Ma io ci tengo ed è il motivo per cui partecipo sempre a tutte le assemblee, ai pranzi sociali e in ultimo anche agli eventi del 50ennale al Teatro Comunale. Mi piace esserci, mi sento che è una cosa che devo fare, come socio e come lavoratore”.