“Sono orgogliosa di aver fatto parte di quella squadra che è riuscita a superare i momenti difficili dell’inizio e che ha contribuito a rendere Copma quello che è oggi”.
Ivana Mantovani, caposquadra, socia e consigliera del Cda, ha lavorato in Copma fino al 2010.
Mantovani Ivana, matricola 219, è entrata in Copma nel 1976 e ne è uscita nel 2010.
Ha portato con sé alcune foto: in una, in bianco e nero, c’è lei insieme a altre operaie sul palco della Sala Estense. Erano state chiamate a fare le pulizie generali a seguito della ristrutturazione del luogo. Hanno tutte il grembiule lungo e sorridono in posa sul palco.
Un paio di altre fotografie, questa volta a colori, la ritrae insieme a un folto gruppo di colleghe in occasione di un momento formativo. Si trattava di una formazione specifica per caposquadra, che prevedeva anche un “ritiro” di qualche giorno in un albergo, e che serviva a mettere alla prova quelle che oggi chiameremo soft skills. Un’occasione che per lei è stata particolarmente importante e che ricorda ancora con vivo interesse.
Siamo nella sala consiglio della nuova sede, lei stessa è stata consigliera per molti anni. Le chiedo che è esperienza è stata per lei.
“Un’esperienza molto positiva. Mi ha insegnato molto, perché, pur essendo io sempre stata una persona riservata e introversa, mi piaceva proprio per questo, per la possibilità di confrontarmi e esporre le mie idee anche se potevan essere contrarie a quelle di altri. E’ stato sempre importante per me potermi esprimere e far parte del CDA me l’ha consentito a un livello importante”
Partiamo dagli inizi: come e quando sei entrata in cooperativa?
“Sono entrata in Copma nel 1976. All’epoca avevo due figli piccoli e un marito che faceva ancora l’Università a Bologna. Lavoravo in campagna, ma le entrate non erano sufficienti. E così ho fatto domanda e mi hanno presa. Ho iniziato all’Ospedale Sant’Anna, ma non era il posto per me. Appena vedevo qualcuno che usciva da una sala operatoria, o una ferita o del sangue, mi sentivo male. Comunque ci ho fatto alcuni mesi, poi la Copma ha vinto l’appalto dell’Usl del territorio e c’era bisogno di andare a inserire e avviare alcuni posti in provincia. E così ho fatto. Poi, finito quel compito, sono stata assegnata al Comune di Ferrara, dove sono diventata caposquadra a seguito di un pensionamento.”
Hai girato un po’ di cantieri all’inizio..
“Diciamo che i primi anni sono stata itinerante. Questo perché dove succedeva qualcosa, fossero problemi fra colleghe o episodi poco felici coi clienti, mandavano me, per acquetare le acque, diciamo così. Questo però ha fatto sì che inizialmente non fossi proprio molto ben vista perché dove arrivavo io voleva dire che era successo qualcosa”, lo racconta sorridendo, anche se ha la mascherina si vede lo stesso dagli occhi. “Però poi col tempo mi sono trovata sempre bene con tutti. Penso molto alla Copma dentro di me, si può dire che la vivo ancora”
A cosa pensi in particolare?
“Penso a quanto era piena la mia vita, anche se era complesso perché il Comune, ad esempio, era composto da molti spazi, da molti uffici sparsi. Occorreva organizzare bene i tempi, gestire parecchie persone, occuparsi di molte cose. Era una vita molto piena. Si lavorava molto, si potrebbe dire che era anche molto stressante, ma se lo rivedo ora, voltandomi indietro, ho solo ricordi e sensazioni positive. MI rendo conto che avevo davvero una vita piena.”
C’è un po’ di nostalgia, mi sembra.
“Sì, anche per via della vicinanza umana e per il supporto che ho ricevuto nei miei momenti più difficli, specialmente da parte del presidente Rodolfi. C’è sempre stato un rapporto di fiducia reciproca.”
Ha avuto un significato particolare per te essere socia?
“Sì, mi sentivo partecipe, mi sentivo che stavo contribuendo a costruire qualcosa che allora, quado ho iniziato, era una realtà piccola, ma che sentivo poteva diventare più grande. Avevo la percezione che col mio lavoro e il mio impegno stavo contribuendo a costruire qualcosa che poteva dare lavoro a altre donne e che andava a vantaggio di altri.”
Mi sembra che questo sia importante per te: costruire opportunità per altre persone.
“Sì, per me importantissimo. È uno dei valori della cooperazione in cui credo molto. Ci sono stati anche periodi piuttosto bui all’inizio. Siamo state per mesi senza stipendio. Molte persone in quel momento se ne sono andate.”
Tu no. Perché?
“Perché era una realtà in cui io mi sentivo bene, per l’atmosfera che c’era, per i valori che la sostenevano. Sono sempre stata un’attivista politica. Sono stata segretaria della F.G.C., portavo l “Unità” alla domenica a casa delle famiglie. Perciò per me qui avevo trovato tutto quello in cui credevo. Mi sento orgogliosa di aver fatto parte di quella squadra, quella che è riuscita a superare il momento difficile e che ha reso possibile tutto ciò che è stato dopo. È lo spirito cooperativistico, di apparteneza che ti fa superare i momenti di crisi, cioè avere la consapevolezza di far parte di qualcosa di più grande”
Ci sono altri momenti che ricorda ancora?
“Sicuramente i pranzi sociali, erano momenti in cui si era tutti allo stesso livello, in cui non contava chi faceva cosa in cooperativa. In quell’occasione eravamo tutti solo socie e soci allo stesso livello. E quanto ci si divertiva!”