
“Ho conservato il mio cartellino del 1974, di quando sono stata assunta. Lo terrò sempre perché per me Copma è stata una seconda casa. ”
Vittorina Zonaro, caposquadra, socia e consigliera del Cda, ha lavorato in Copma fino al 1994
Vittorina Zonaro, classe 1935, è entrata in Copma nel ’74, all’età di 39 anni, e ne uscita nel ’94, a 59 anni.
Ci incontriamo nei locali della nuova sede di Copma, mentre i lavori si stanno a mano mano concludendo in vista dell’inaugurazione. La memoria della signora Zonaro la porta automaticamente nella sala consiglio che mantiene la stessa ubicazione della sede precedente e dove, quando lavorava, si riuniva per l’appunto il consiglio di amministrazione di cui ha fatto parte per anni. Ha portato con sé il cartellino di riconoscimento risalente alla sua assunzione e un paio di fotografie che la ritraggono in due momenti della sua vita legata alla cooperativa. In una è in coppia con una collega all’inaugurazione della Centrale del Latte (che poi sarebbe diventata la Granarolo, ma che allora operava a Chiesuol del Fosso, provincia di Fe). Dietro c’è la data: agosto 1986. Nell’altra invece è in treno in compagnia dell’allora vice presidente, Milvia Migliari, per una trasferta extra lavorativa: stanno andando a Roma per partecipare a una manifestazione dell’Unione Donne Italiane.

In tutti questi anni ha conservato il cartellino di quando è stata assunta…
“Lo terrò sempre. Per me Copma è stata la mia seconda casa” dice emozionandosi. Si toglie la mascherina scoprendo un incarnato delle guance roseo come la giacca che indossa.
Racconta che è rimasta vedova nel ’73, trovandosi nella condizione di doversi trovare un lavoro e di provvedere a lei e al figlio. Prima di quel momento aveva all’attivo un’esperienza di 5 anni in Svizzera insieme al marito come assistente impiegata in un magazzino. Ha provato a mantenersi facendo la sarta in casa, ma ciò che guadagnava non bastava. Riuscì a trovare un impiego come bidella per tre mesi al Comune dove venne a sapere che esisteva una cooperativa che faceva pulizie e che si stava espandendo sul territorio.
Dove ha iniziato? Quali erano i servizi che facevamo?
“Allora abitavo al Barco (località di Ferrara, ndr) e per spostarmi avevo solo la bicicletta. Il mio primo incarico era alla sede degli autobus in via Fabbri. Il primo partiva dal deposito alle 6 del mattino, perciò dovevamo prendere servizio almeno 1 ora prima. Il chè significa che uscivo di casa alle 4 e mezza, anche perché dovevo passare in ufficio, in Foro Boario (allora sede degli uffici) a prendere l’elenco degli autobus in modo da sapere da quale dovevo iniziare. La sera invece andavo a pulire i locali dell’inps e poi il condominio che c’è li davanti. Sempre avanti e indietro con la mia bicicletta”
Si teneva in forma, insomma.
“Non solo per via della bici, ma anche perché a fare i condomini andavi su e giù per le scale a riempire il secchio d’acqua”
Come è successo che è poi passata a caposquadra?
“Dopo sei mesi che lavoravo, nel momento in cui Copma iniziava a avere sempre più lavori nel Comune, il presidente Rodolfi e mi ha detto che voleva che facessi la caposquadra e io ho pensato ‘mamma mia caposquadra che sono appena arrivata, come farò!’”, mentre lo dice mima il gesto di mettersi le mani nei capelli, come se stesse rivivendo lo stesso momento. Ha per altro una capigliatura perfettamente curata, ora come in tutte le fotografie, anche quella del cartellino. Glielo faccio notare e mi confida che è sempre stata così: ”Si figuri che pur abitando in campagna, dove non è che ci fosse chissà che via vai di gente, fin da bambina, non uscivo di casa se non ero pettinata a dovere”.
Qual è stato il suo incarico più importante?
“Essere caposquadra alla Montedison. Lì dentro per raggiungere un capo o un altro del cantiere ci si muoveva in macchina. Avevo il mio ufficio, studiavo come distribuire le ore di servizio perché tutto fosse fatto bene, trattavo col sindacato interno, gestivo parecchie persone. Sono sempre stata fiera della Copma, della sua serietà perché è una cosa alla quale tengo molto anche io e mi sono sempre impegnata al massimo per il buon nome della cooperativa. Quando siamo entrati in Montedison eravamo attrezzati in un modo che non si aspettavano. Mentre altre ditte usavano ancora lo spazzolone e lo straccio noi iniziavamo già a usare il carrello. C’era lo spazio per tutto in un unico strumento: secchi, pattumiera, spazi per riporre tutto l’occorrente. Ci tenevo molto che tutte avessimo le attrezzature e i materiali necessari per poter lavorare al meglio.
Cosa hanno significato gli anni in Copma?
“Gli anni in cui ho lavorato hanno significato moltissimo. Essendomi sposata giovanissima, a 18 anni, non conoscevo nulla delle cose che accadevano fuori da quello che era il mio ambiente domestico. Gli anni in Copma hanno coinciso anche con anni di fermento sociale e politico, gli anni in cui ho preso la patente, in cui ho frequentato l’Udi . Uscire di casa, mantenermi col mio lavoro, potermi confrontare con tante altre persone e realtà diverse ha significato moltissimo per me.
Qual è stato il momento più bello?
“Ce ne sono stati tanti. il primo in assoluto è stato quando mi hanno detto che mi avrebbero tenuta in Copma. Non avevo titolo di studio e prima, come dicevo, facevo la sarta in casa, ma non mi bastava per mantenermi. Quando dopo 8 giorni di prova mi hanno detto che mi tenevano ero così felice… quando sono tornata a casa e l’ho detto a mio figlio ho perfino pianto dalla gioia. Ho avuto molte soddisfazioni. Per me è sempre stato molto importante che mi venisse riconosciuta la serietà e la correttezza del mio operare. Il presidente Rodolfi diceva sempre che dove passavo io era come lasciare il nostro biglietto da visita migliore. C’ho sempre tenuto al mio lavoro”
Immagino quindi che le sia un po’ dispiaciuto lasciare il lavoro?
“Mi è dispiaciuto moltissimo. Sono andata in pensione a 59 anni per aiutare la famiglia di mio figlio, con due bambini piccoli avevano bisogno dime. Ma quando sono stata a casa mi è dispiaciuto davvero tanto. Copma è stata davvero la mia secondo casa”